di Anna R. Ravenna
Pubblicato sul numero 12 di Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia.
La cognizione dell’amore si ha solo nel momento/atto d’amore.
IL LAVORO CON LE COPPIE
La tipologia classica di clienti della terapia relazionale sembra essere stata, almeno fino a poco tempo fa, la coppia sposata e in crisi. Nel linguaggio comune la parola crisi sembra indicare un improvviso momento di rottura di un equilibrio che, apparentemente, dura da tempo. La rottura è accompagnata da manifestazioni emotive e comportamentali in qualche modo vissute dai due partner, o da uno dei due, come impreviste e violente. L’avverbio apparentemente intende sottolineare nella relazione la dicotomia tracomportamenti manifesti della vita quotidiana e consapevolezza profonda, espressione di un disagio che ha radici lontane nel tempo.
Come ogni fenomeno dell’esistenza umana anche la vita di coppia è un processo, un continuo divenire il cui cambiamento si costituisce attimo dopo attimo e può portare sia alla trasformazione sia all’estinzione della coppia. Ogni trasformazione è resa possibile dalla abilità delle persone di tenere in vita un nucleo di base, nel nostro caso la relazione d’amore, accompagnandolo con la modifica pressoché continua delle modalità espressive e dello stile di vita.
Quando la coppia arriva nello studio dello psicoterapeuta, dunque, porta un disagio che, se pur appare motivato da attuali e specifiche contingenze, in effetti è il segno di un malessere che si è andato accumulando nel tempo. I due partner non hanno saputo elaborare e trasformare nel tempo i cambiamenti personali, sociali e del ciclo di vita della coppia creando nuove modalità del vivere insieme, non hanno saputo gestire i conflitti di fronte ai quali la vita quotidiana li ha posti sia come singoli individui (conflitti intrapsichici) sia come coppia/famiglia (conflitti relazionali), sia come cittadini (conflitti sociali).
Non è possibile, infatti,trascurare il più ampio contesto sociale nel quale le persone sono inevitabilmente inserite e che alimenta interessi e desideri che richiedono attenzione e impegno a partire dalla relazione con le rispettive famiglie d’origine. Spesso un problema significativo portato dalla coppia è la divergenza nei tempi e nelle priorità di bisogni, di desideri, di interessi e la difficoltà a coordinare modalità e tempi per la loro soddisfazione. Negli incontri psicoterapeutici sottolineare questa complessità della vita sia per ciascun individuo sia per la coppia è oltremodo utile ed aiuta ad elaborare difficoltà che, sorte in ambiti diversi, si ripercuotono nelle relazioni tra i partner e nelle relazioni intrafamiliari.
Nell’immaginario collettivo tinto di banale romanticismo il conflitto è considerato espressione di una situazione patologica della coppia così come della vita democratica: al contrario il conflitto è la condizione stessa affinché la coppia, come la democrazia, esista. Il conflitto nasce dalla diversità senza la quale non esiste “vita”: è il modo di gestirlo che fa la differenza.
La parola crisi dunque può essere intesa nel senso di grave incertezza, instabilità e difficoltà in relazione all’accumularsi di conflitti irrisolti che i partner non hanno saputo gestire (Gestalt inconcluse) e che si ripresentano costantemente secondo contenuti differenti. Ma crisi significa anche momento di passaggio che richiede scelte non più rinviabili ed offre la possibilità di una loro gestione consapevole ed adeguata per entrambi i partner. In greco il termine crisis deriva dal verbo krinein decidere, distinguere e significa, quindi, scelta, decisione.
In questi ultimi tempi il numero delle coppie che chiedono una consulenza psicologica o un percorso psicoterapeutico è in aumento ed anche la tipologia sembra cambiare. Si incontrano persone che, all’inizio di una storia per loro significativa, si rivolgono allo psicologo per … iniziare con il piede giusto! Questo fenomeno si presenta soprattutto in coppie formate da persone intorno ai trentacinque/quaranta anni che individualmente hanno avuto più storie significative, ma concluse con la rottura. Le donne temono soprattutto un nuovo abbandono da parte di partner non disponibili ad un impegno “totale” e a lunga scadenza, gli uomini, più spesso, soffrono per un vissuto di incapacità ad essere partner apprezzati. Anche le coppie che sono insieme da diversi anni, e si rincontrano dopo una crisi significativa, a volte accompagnata da una temporanea separazione, arrivano dallo psicoterapeuta “terrorizzati” da una possibile rottura del legame di coppia.
La richiesta è spesso quella di risolvere aspetti della vita di coppia ritenuti problematici e dei quali si attribuisce la “colpa” al partner. Ciascuna delle due persona coltiva la segreta speranza di trovare nel terapeuta un alleato in modo da risolvere “democraticamente” (due contro uno!) la situazione. Immaginare con quanta soddisfazione si possa pronunziare la fatidica frase: “Vedi avevo ragione io!”, rappresenta in modo chiaro quest’aspettativa che spesso impregna ogni confronto tra i partner. La fantasia che agevola la decisione di intraprendere un percorso psicoterapeutico è quella di poter trovare nel terapeuta un alleato o almeno un terzo “imparziale” che abbia soluzioni adeguate ed accettabili per entrambi i partner.
Ma non è così; il lavoro con le coppie è altro. Si tratta di agevolare e migliorare le competenze nel comunicare in modo da aiutare a rendere esplicite e quindi confrontabili, le aspettative e le motivazioni profonde di specifici comportamenti ma anche del complessivo “stare insieme” che, da una parte sembra tanto tormentante, dall’altra è così doloroso pensare di abbandonare.
Nel lavoro psicoterapeutico con le coppie si lavora per agevolare il cambiamento della punteggiatura nella sequenza degli eventi, per aprire ai due partner possibilità per un nuovo modo di vivere in coppia passando dall’attribuzione all’altro di tutta la responsabilità del benessere e/o del malessere personale e di coppia, alla possibilità di assumersi la responsabilità della propria esistenza, consapevoli dell’importanza che l’altro ha, ma liberi di scegliere se e come stare in relazione con lui/lei.
La narrazione effettuata da uno dei due partner a volte è così differente da quella dell’altro da sembrare relativa a tutt’altro contesto, le due persone sembrano non avere una storia comune. E sono proprio i protagonisti i primi a meravigliarsi di queste profonde differenze, sono sorpresi di vedere il/la partner in una luce nuova sentendo pronunziare esplicitamente desideri, pensieri, giudizi che non avrebbero mai sospettato gli/le appartenessero. In questo contesto una prima e fondamentale funzione del lavoro psicoterapeutico è quella di aiutare le persone ad aprirsi ad una comunicazione chiara e diretta rendendo esplicite le aspettative implicite nel “patto d’unione”. Modalità efficace per muoversi verso questo obiettivo è lasciare che le due persone si parlino direttamente senza che il terapeuta si lasci “triangolare”. Il termine, preso in prestito dal modello di psicoterapia familiare di Bowen, indica la situazione in cui due figure di pari autorevolezza sono in disaccordo e tentano di introdurre nel conflitto una terza persona “meno influente” per renderla, come già si è detto, alleata ognuno a sé e risolvere così il disaccordo mettendo l’altro “in minoranza”.
In ottica fenomenologico-esistenziale, e quindi, gestaltica, lo psicoterapeuta, nella seduta, rappresenta una “terza persona non influente” in quanto non ha alcun potere né desidera esercitare alcuna influenza nella relazione di coppia. La sua funzione è quella di agevolare l’espressione e l’autentico dialogare lasciando che ognuno dei due partner, nelle comunicazioni più banali come in quelle più significative, si assuma la totale responsabilità del suo agire immediato e delle possibili conseguenze. Il terapeuta sospende ogni giudizio e non si schiera né si lascia sedurre da nessuno dei due partner, aiuta invece entrambe le persone ad assumersi al cento per cento la responsabilità di come si è svolta e si continua a svolgere la relazione. Non ci sono responsabilità da suddividere: ognuno è libero di essere se stesso e di volersi incontrare e vivere con un/una partner che lo/la accetti così come è. E’ a partire da questo presupposto che è possibile aprirsi al desiderio di costruire una cultura comune, fatta di valori e di priorità che non solo agevolino ma rendano piacevole la vita di coppia. Lo psicoterapeuta interviene allora nella seduta per aiutare ad esplicitare, per far costruire “ponti” che portino l’uno verso l’altro, per far rispettare regole fondamentali per la vita di coppia a partire dalle regole della comunicazione (non interrompersi, ascoltare i propri vissuti emotivi mentre l’altro parla e, a partire da questi, rispondere in modo coerente, chiaro e specifico così da costruire un reale dialogo). Lo psicoterapeuta interviene inoltre per agevolare il contatto con i vissuti emotivi non solo propri ma anche del partner in modo da poter entrare in una risonanza empatica fatta di uguaglianze ma soprattutto di differenze e da qui comprendere il punto di vista dell’altro non solo cognitivamente ma anche, e soprattutto, emotivamente. La risonanza emotiva che si può vivere mettendosi nei panni dell’altro è fondamentale non per condividere ed accettare obbligatoriamente opinioni e comportamenti del partner, ma per rendersi conto di cosa si può provare guardando gli eventi da un altro punto di vista, per rendersi conto di emozioni e sensazioni che, in quanto non appartengono alla persona, sono difficili da percepire pur costituendo aspetti essenziali della vita dell’altro.
Amare vuol dire accogliere non solo ciò che si condivide o ciò che comunque si comprende, ma piuttosto ciò che non è neppure comprensibile per la persona che ama.
Il contesto di coppia non può prevedere decisioni prese … a maggioranza! Occorre quindi aiutare le due persone a saper mantenere il controllo dei propri comportamenti, a sviluppare capacità di collaborazione in forme reciprocamente gratificanti, a creare contesti nuovi all’interno dei quali entrambi si trovino a proprio agio.
Rispetto alle più frequenti problematiche vissute dalla coppia una riflessione specifica merita l’aspetto progettuale della vita individuale dei due partner. Già al momento dell’incontro è fondamentale che ciascuna delle due persone abbia un personale progetto di vita che sia compatibile e, al tempo stesso, autonomo dal progetto del partner. Condividere e vivere un progetto di vita comune, infatti, non può voler dire rendere la propria esistenza assolutamente dipendente dalla relazione di coppia, non vuol dire salire sul carro dell’altro e diventarne il/la suo/a valletto/a. Ogni essere umano ha bisogno di realizzarsi in diversi ambiti; se le relazioni affettive possono essere considerate il fondamento del benessere individuale queste, tuttavia, non si esauriscono nella relazione di coppia: l’affettività che lega le persone ai componenti della famiglia d’origine, ai figli che la coppia può avere, agli amici con cui si stringono rapporti d’intimità, e così via, non deve considerarsi meno significativa per il benessere individuale. Il vissuto di realizzazione personale è nutrito inoltre in modo altrettanto significativo dal contesto lavorativo che non può risolversi in una modalità di produzione di reddito; incrementare la consapevolezza della sua importanza per la soddisfazione ed il senso di realizzazione proprio e del partner è un obiettivo non secondario della terapia di coppia.
Anche la definitiva rottura di una relazione di coppia, per quanto esperienza difficile e dolorosa, non può segnare un punto di non ritorno rispetto al benessere personale, occorre aiutare la persona ad incrementare la consapevolezza del suo esistere sia pure tra momentanee difficoltà potenziando ulteriori ambiti di interesse e gratificazione. Questo tema risulta particolarmente significativo nelle coppie che chiedono esplicitamente di essere accompagnate nel processo di separazione. La richiesta nasce spesso solo da uno dei due partner e l’altro vi acconsente senza una profonda e personale convinzione, a volte dichiarando anche di amare ancora il/la compagno/a. Spesso si tratta di persone che chiedono una psicoterapia con aspettative diverse: l’uno/a che si eviti la separazione, l’altro/a che il processo di separazione si possa svolgere in modi “civili” risparmiando loro, e soprattutto agli eventuali figli, ulteriori dolori e paure che renderebbero ancora più difficile sia il momento attuale che la futura vita familiare. Occorre tener presente che, anche per il partner che la chiede, la separazione è un momento doloroso e difficile pur se in presenza di un nuovo/a compagno/a; il terapeuta deve essere molto attento a mantenere uno stato di equanimità rimanendo sempre disponibile a sostenere la parte che ha maggior difficoltà ad esprimersi. La difficoltà ad esprimersi è direttamente correlata con il vissuto di vergogna ed indirettamente con il senso di appartenenza, intesa come con-divisione e non come “proprietà”. Per condividere occorre essere in due, ma non tutto si può condividere in una coppia e non in ogni momento. A questa affermazione si può aderire in maniera direttamente proporzionale alla fiducia che si prova per l’altro, ma soprattutto alla fiducia in se stessi di cui l’altro è specchio.
La parola fiducia porta la riflessione su uno dei temi più frequenti nelle terapie di coppia: la gelosia. L’aspetto relazionale della vita delle persone è fortemente influenzato dal livello di autostima. Nello specifico dell’esperienza umana, dove l’habitat della specie si identifica in massima parte nella società, quanto uno conosce di sé deriva dal modo in cui è stato considerato dagli altri con i loro insiemi non solo di principi e opinioni, ma di messaggi relazionali emotivamente connotati, che a seconda dei diversi ambienti sociali influenzano lo sviluppo dei bambini nutrendo possibili atteggiamenti di autosvalutazione o di sopravvalutazione.
Chiamiamo gelosia lo stato emotivo fondato sul timore di perdere la persona amata e questo timore è nello stesso tempo frutto di una bassa autostima e causa di una sua ulteriore diminuzione. Possiamo distinguere varie componenti del fenomeno a volte presenti separatamente a volte copresenti nella situazione.
Se l’autostima è una componente piuttosto evidente spesso rimangono nello sfondo sentimenti di competitività e proiezioni dei propri sensi di colpa verso personali desideri di infedeltà. Una certa forma di gelosia può essere considerata promossa dalla filogenesi come comportamento adattativo: salvaguardia della certezza riproduttiva per i maschi, salvaguardia delle risorse materiali per sé e per la prole per le femmine. La gelosia nella sua componente attrattiva può essere inoltre considerata un modo per rianimare le coppie in crisi: in questo caso occorre che sia in primo piano la sua componente affettiva e che sfumi sullo sfondo la rabbia che sempre è insita in questo sentimento. La rabbia può essere considerata una emozione complessa, un insieme di impotenza ( nulla possiamo nella vita dell’altro), dolore (per es.: senso di umiliazione) e paura (per es.: rischio di perdita); se questo sentimento viene in primo piano, e per di più con una forte connotazione ed intensità emotiva, l’affetto, il desiderio, l’importanza dell’altro nella vita del partner rischiano di essere ricacciati nello sfondo con pesanti ricadute nella vita di coppia. Il/la partner infatti si sente controllato/a, accusato/a, rifiutato/a, oggetto di “proprietà esclusiva” piuttosto che di amore.
Parlare d’amore è tuttavia possibile solo attraverso metafore. Quello su cui possiamo riflettere teoricamente sono solo alcuni aspetti della vita degli esseri umani che si riflettono anche nella vita di coppia. Uno di questi aspetti che nel lavoro psicoterapeutico appare fondamentale è la personale visione del mondo attraverso i temi dell’illusione e della disillusione.
ILLUSIONE E DISILLUSIONE NELLA VITA DI COPPIA
La differenza tra uomo e donna è un fatto biologico, la differenza dei ruoli sociali è un fatto culturale. Anche l’amore è un fatto biologico legato alla dinamica relazionale naturale negli esseri umani: siamo intrinsecamente amorosi e non distruttivi, afferma Quattrini (2007). Queste chiare e semplici considerazioni possono essere facilmente condivise, ma non sono altrettanto chiare le dinamiche interpersonali da cui nasce l’innamoramento; l’amore poi, come la vita rimane un mistero da contemplare più che da comprendere.
Le modalità in cui si danno le relazioni d’intimità nascono da un complesso intreccio di fattori biologici, culturali e affettivi nell’incontro con uno sconosciuto, con un estraneo, incontro che di per sé può generare paura, o addirittura terrore. Perché si realizzi l’incontro occorre “sedurre”, attirare l’altro a sé: il pavone fa la ruota, la femmina del cane emette un particolare odore quando è in calore, la donna si trucca, l’uomo tonifica i muscoli in palestra …. Stare in relazione è la condizione naturale degli esseri umani, come naturale è vivere immersi nell’atmosfera, respirare. Non è altrettanto naturale che ogni relazione in ogni momento sia portatrice di benessere.
Nell’arco della vita umana possiamo considerare fondamentali le relazioni familiari, in particolare la relazione madre-bambino e la relazione con il partner anche se in modi differenti: entrambe trovano fondamento in un legame intimo, nutrono e sono nutrite da una intimità sempre più profonda
Lo stile delle prime relazioni ha un’influenza notevole sull’organizzazione precoce della personalità e sulla rappresentazione che il bambino avrà di sé, degli altri e delle relazioni, compresa la relazione di coppia. Gli studiosi dell’età evolutiva hanno condotto ampie ed approfondite osservazioni in proposito correlando gli stili di attaccamento madre/bambino con gli stili nelle relazioni di coppia. Bowlby parla di attaccamento sicuro/autonomo e di attaccamento insicuro secondo tre diversi stili: evitante/distanziante, preoccupato/ansioso, disorganizzato. Kohut parla di stili di personalità attraverso lo sviluppo del sé grandioso e dell’imago parentale idealizzata. Stili ai quali si impronterà anche la relazione di coppia. Nel lavoro con l’enneagramma Quattrini descrive il legame affettivo tinto d’invidia, di paura, di avidità. Non è questo il contesto per soffermarsi su queste correlazioni, possiamo affermare, tuttavia che, come nella prima infanzia, anche nell’età adulta sentirsi in relazione intima con altre persone conferma ad ogni istante la personale presenza nel mondo e, soprattutto, nel mondo dell’altro, calmando l’ansia esistenziale e restituendo sicurezza, fiducia e progettualità.
La vita di coppia si fonda su di un profondo coinvolgimento emotivo che agevola lo sviluppo e l’espressione di quell’intimità relazionale già vissuta nel rapporto con la madre e conferma all’individuo il suo valore in quanto essere umano con le proprie specificità, ivi compresi i propri limiti. La coppia, come la famiglia, ha funzioni sociali in quanto luogo della moltiplicazione delle possibilità di benessere del singolo, ma a volte sembra trasformarsi fatalmente in luogo di sofferenza.
Nell’analisi della relazione di coppia ricorrono costantemente alcune parole:innamoramento, speranza, aspettative, illusione, delusione, disillusione, termini che possono diventare la chiave di lettura del rapporto di coppia nella sua complessità.
La parola innamoramento indica il processo con il quale inizia la relazione di coppia, processo caratterizzato dalla possibilità di aprirsi ad una relazione intima attraverso l’idealizzazione dell’oggetto dell’innamoramento che sfugge entro certi limiti ad ogni critica.
Caratteristiche tipiche dell’innamoramento sono la cecità verso alcune specificità del partner, il valore di utilità attribuito alle differenze e il valore rassicurante attribuito alle uguaglianze. Queste caratteristiche sono funzionali all’instaurarsi della relazione, funzionali alla possibilità di aprirsi ad un contatto che col passare del tempo potrebbe diventare sempre più complesso ed intimo.
Il processo dell’innamoramento ha a che fare con il meccanismo proiettivo di elementi che appartengono al mondo interno dell’innamorato e che, proiettati sul partner, favoriscono l’emergere in figura di quelle caratteristiche che sembrano adeguate a soddisfare antichi bisogni rimasti insoddisfatti e desideri attuali che appaiono imprescindibili. Nascono cosìvissuti e aspettative, consci e inconsci, che, nel tempo, si riveleranno in parte illusori.
Le illusioni sono il frutto dei nostri desideri e della nostra immaginazione che, pur basandosi su elementi della realtà, vengono estrapolati dal contesto e creano un insieme non realistico strutturando aspettative che, malgrado il senso di apparente certezza che le accompagna, difficilmente potranno essere soddisfatte. Possiamo considerare l’illusione una “imprudenza” che come ogni aspetto della realtà, può essere funzionale o disfunzionale; tutto dipende da come questa “impotenza” viene utilizzata e dalla direzione che prenderanno gli eventi. In questo contesto non serve soffermarsi su come essa agevoli gli incontri tra le persone, svolgendo diverse funzioni, e soprattutto calmando l’ansia esistenziale. Quello che interessa qui sottolineare è il suo aspetto disfunzionale.
Tipica dell’innamoramento è l’illusione di poter riempire con il nuovo rapporto il vuotolasciato dalle relazioni primarie, vuoto che, di fatto, è incolmabile. Nella dualità, simmetrica o complementare che sia, si cerca quella costante conferma di sé che aiuta a sfidare il mondo lasciando riemergere l’antica vitalità soffocata dal dubbio, dall’incertezza e dalla insicurezza personale amplificata dalla solitudine.
Dal momento in cui l’incontro con l’altro inizia a trasformare radicalmente la vita si profila la necessità di una scelta che appare drastica: vita condivisa con un/a partner o vita in solitudine.
Di fronte a questa scelta il nucleo problematico fondamentale da affrontare e da elaborare è l’illusione che la relazione di coppia possa soddisfare bisogni mitici, oltre ad altri più concreti e specifici, che possa essere la terra promessa nella quale i bisogni vengano soddisfatti ancora prima di essere espressi e il senso di solitudine venga sconfitto per sempre.
Ma è proprio la caduta di questa illusione che permette di trasformare l’innamoramento in un rapporto d’amore, che apre le porte all’accettazione dell’altro così come è sostituendo ad un legame fondato sulla mancanza, il bisogno, la necessità, un legame fondato sull’incontro, il desiderio e il piacere, sostituendo la speranza all’illusione.
A differenza delle illusioni, le speranze possono considerarsi valutazioni di elementi reali che permettono di rappresentare possibili evoluzioni degli eventi secondo modalità e verso situazioni desiderate; le speranze non sono accompagnate da certezze ma dal senso dipossibilità, dal dubbio, dal rischio.
Se inizialmente la coppia è rapita in un mondo proprio in cui tutto sembra fluire senza difficoltà, nel divenire temporale ognuno dei due partner dovrà inevitabilmente misurarsi con la illusorietà di questa dimensione e con tensioni e difficoltà generate dalla quotidianità sia dei rapporti reciproci sia dei rapporti con il mondo esterno.
Arrivano così momenti cruciali della vita di coppia, crisi durante le quali si è costretti a verificare l’intensità del legame affettivo che nel tempo si è andato creando con il partner in quanto persona e non semplicemente in quanto oggetto su cui proiettare attuali bisogni e vecchie insoddisfazioni. La dinamica della vita quotidiana porta con sé l’esperienza della disillusione. Il termine disillusione rimanda ad un processo che si svolge nel tempo e riguarda l’intero modo di essere al mondo dell’individuo, un processo che accompagna ognuno di noi dalla nascita alla morte, un processo che sgombra il campo da pregiudizi, illusioni e verità assolute, agevolando il vivere nel qui ed ora. Questo processo può essere considerato l’altra faccia e di ciò che in Gestalt si chiama consapevolezza e che Schopenhauer identificava con la caduta del Velo di Maya. Nella vita di coppia questo processo consente, nei tempi propri di ciascuna persona, di entrare in contatto con l’altro nei suoi diversi aspetti, di incontrarlo attraverso le sue e le proprie specificità; il processo di consapevolezza agevola la creazione di un noi in cui le due entità esistono in quanto tali e si incontrano in uno spazio alimentato dal sentimento, dall’amore, dal desiderio dell’incontro piuttosto che dal bisogno, uno spazio in cui le differenze e le specificità diventano risorse per la vita di coppia. E’ uno spazio in cui ciascuno può sviluppare e narrare all’altro la propria esperienza vivendola nello stesso tempo in cui vive e ascolta l’esperienza dell’altro. Attraverso la condivisione si dà un senso più ampio ed approfondito agli eventi dell’esistenza del singolo e si crea una nuova storia, la storia di un noi che nasce da una intimità sana in quanto piacevolmente ricercata, voluta, non necessitata.
Ma la perdita delle illusioni molto spesso è accompagnato da un forte vissuto di inganno e di disincanto che rende dolorosa l’esperienza di coppia quanto meno momentaneamente. Questo passaggio apre anche un cammino, ma occorre tempo prima di rendersi conto che una adorazione fondata sull’illusione può portare ad un amore comprensivo di complessità, ambivalenza e frustrazione, un amore che nasce dall’incontro con l’altro così come lui/lei è, senza chiedere, né tanto meno pretendere, alcun cambiamento che è pur legittimo desiderare, senza però nutrire illusioni.
Nel linguaggio comune viene usato frequentemente il termine delusione, sentimento di amarezza o di scontento di chi vede la realtà non corrispondere alle sue speranze o peggio alle sue aspettative, una parola quindi sulla quale merita soffermarsi. Nella lingua italiana i verbi illudere e deludere sono anche riflessivi, indicano, cioè, azioni che il soggetto compie nei confronti di se stesso, ma siamo abituati ad utilizzare questi verbi quasi esclusivamente in modo transitivo: tu mi hai illuso, tu mi hai deluso. Eppure è la persona stessa che si illude, illude se stessa prendendo in considerazione dell’altro solo le caratteristiche che considera adatte a dare positive ed immediate risposte ai propri bisogni. Bisogni e desideri sono il fondamento stesso dell’essere umano e la possibilità di soddisfarli è parte essenziale del benessere individuale. Ma l’innamorato tende inconsapevolmente a lasciare sullo sfondo la complessità della storia personale, della ricerca esistenziale propria e del partner la cui personalità, nel suo insieme, rimane in ombra mentre emergono in figura le specifiche caratteristiche momentaneamente ritenute gratificanti.
Se il partner è ricco…la persona non è sciocca, cognitivamente è perfettamente in grado di accogliere una varietà di ipotesi, ma è innamorata! Vale a dire illusa, rigidamente fissata su una unica verità che al momento agevola il suo rapporto con l’altro…mi farà sempre dei regali bellissimi e costosi. In realtà il partner potrebbe non fare mai un regalo o farne raramente, o impegnare poche risorse o regalare oggetti che non sono di gusto del suo innamorato/a, ma queste ipotesi non entrano, al momento, nel campo della coscienza della persona. Arriverà poi il momento della delusione evidenziata da un senso di tradimento delle aspettative, dalla caduta delle speranze, da sentimenti di sconforto e di amarezza.
Ogni volta che ci sentiamo delusi è importante ricordare che si tratta di un processo che noi stessi abbiamo iniziato a mettere in atto nel momento stesso in cui abbiamo accettato di vivere nell’illusione.
Sperimentare il disaccordo è il solo modo per arrivare ad un accordo ma i modi per far questa esperienza sono infiniti. Tutto sembra dipendere dalle modalità e dalla qualità della relazione. Occorre ricordare che la coppia è una Gestalt, è un insieme che nasce dalla relazione tra due individui e dalla loro intrinseca capacità di trascendere dal proprio egocentrismo, trascendenza alimentata dalla consapevolezza di esistere nel tempo, quindi in un continuo mutamento sapendo dare valore e senso alla specificità propria e dell’altro senza rinunciare alla propria dignità.
Si può rinunciare alla dignità in modi diversi: non mettendosi in gioco, manipolando, cedendo di fronte a qualsiasi richiesta dell’altro. A volte si fa pressione perché lui/lei si adatti al proprio modello ideale di partner disconfermandone l’esistenza autentica: tu non esisti per come sei, ma solo in quanto capace di soddisfare i miei bisogni. Altre volte neghiamo a priori la capacità del partner di accogliere e accettare la nostra persona così come è, continuiamo a nasconderci ai suoi occhi pur pretendendo che l’altro “sappia” vedere.
La relazione allora diventa disfunzionale e non favorisce il benessere di entrambi gli individui, emergono in primo piano antiche ed automatiche modalità relazionali caratterizzate da un aggrapparsi ansioso, o da richieste eccessive, o ancora da un distacco disimpegnato, oppure da un’indipendenza provocatoria.
La relazione di coppia si nutre di differenti momenti di piacere oltre che dell’intensità della scintilla che scocca in ogni atto d’amore inteso come momento sublime di unione. In primo luogo troviamo il generale piacere dell’essere insieme in momenti specifici (es. piacere erotico), ma anche l’essere presenti l’uno nell’esistenza dell’altro. E’ forse da questa presenza che possiamo far derivare un secondo aspetto del piacere: prendersi cura/essere curato, quell’espressione d’amore che ha per prototipo il legame con la madre fondato sulla consolazione del dolore e la rassicurazione della paura. Ulteriore aspetto dell’amore può essere considerato inoltre la capacità di apprezzare/essere apprezzato,riconoscere e rispecchiare narcisisticamente/essere riconosciuto e apprezzato narcisisticamente. Una soddisfacente vita di coppia vede il realizzarsi, non continuo ma costante, di questi aspetti dell’amore secondo modalità personali e culturali che hanno comunque bisogno di una caratteristica fondamentale: essere espressi in modo da risultare riconoscibili e quindi fruibili dal partner.
Vivere insieme è un percorso di continua co-costruzione fondata sulla capacità di conservare quello che c’è e di creare insieme il nuovo in un’alternanza di funzioni fondamentali sia per ogni essere umano che per ogni coppia (es:proporre/accogliere,esporsi/sostenere/lasciarsi condurre/guidare).
Se immaginiamo la relazione di coppia fondata su un accordo in parte implicito in parteesplicito, si può parlare di “buon accordo” solo se il processo di esplicitazione è continuo nel tempo attraverso il variare delle interazioni con il mondo esterno ed il mondo interno di ciascun partner.
Nell’incontro ogni partner porta con sé un proprio mondo ricco di bisogni, aspettative, miti, modelli che in diversi momenti dell’esistenza emergono in figura, chiedendo un ascolto particolare. Si incontrano due patrimoni culturali, due universi che nel dar vita ad una coppia danno vita ad una nuova Gestalt con un sistema di relazioni, di regole che non possono essere la mera somma delle regole delle famiglie di provenienza spesso contrastanti tra loro e non assimilate neppure dai singoli individui. Le regole dipendono dal campo e, nel tempo, emergono coerenze diverse a seconda del contesto. La coppia è originariamente legata ad un patto in gran parte implicito: una parte consistente, inizialmente in primo piano, è costituita dalle aspettative che l’altro si comporti in determinati modi in specifiche occasioni. Ma il patto contiene anche una proposta/richiesta inconscia di relazione olistica: ti compro tutto così come sei/comprami tutto così come sono. L’illusione è che l’altro possa rispondere ad ogni bisogno e attraverso il rapporto rassicurare sul senso di permanenza e di stabilità dell’esistenza individuale e dell’esistenza come coppia. Ma … πάντα ῥει!! E il cambiamento in ogni cosa, e così anche nella coppia, porta all’estinzione o alla trasformazione. Il contatto pieno con quello che possiamo chiamare il nucleo stabile della coscienza, il centro del nostro esistere, la stabilità interna soggettiva, il punto zero ci rende malleabili, flessibili anche nel caos. Zero è l’unico numero stabile; si può moltiplicare e dividere per qualsiasi numero e rimane sempre uguale a se stesso, sempre stabile, mentre gli oggetti, le situazioni, gli eventi sono impermanenti. Ma, pur nell’impermanenza possiamo ipotizzare un nucleo che si conserva: nella coppia questo nucleo è la relazione in grado di sopravvivere ad ogni trasformazione, se è una relazione d’amore.
Nel tempo, se l’evoluzione del rapporto di coppia porta al superamento delle naturali crisi ed all’instaurarsi di quel legame profondo che chiamiamo amore, l’espressione “ti compro tutto/comprami tutto” acquista ben altro senso. Il permanere nel tempo della coppia, testimonia allora la presenza di un sentimento maturato che si può definire come il desiderio che l’altro esista nel mondo e mantenga una relazione privilegiata con noi, relazione che, nel momento dell’incontro, genera un piacere indescrivibile fortemente relato al senso dell’unione e della separatezza nello stesso tempo, all’apprezzamento per la persona ed alla compassione per i suoi limiti.
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