di G. Paolo Quattrini
Direttore Istituto Gestalt Firenze – sede di Firenze
Pubblicato su Formazione IN Psicoterapia Counselling Fenomenologia, n°4 novembre – dicembre 2004, pagg. 2-7, Roma
Come la psicologia è, secondo l’espressione di Kohut, un campo determinato dall’empatia, la psicoterapia è un campo determinato dal libero arbitrio: nessun senso infatti potrebbe avere lavorare sul rapporto con se stessi se questo non potesse cambiare in base alle proprie scelte, e se queste per qualunque ragione non potessero essere libere.
Una scelta, in quanto occasione di scegliere, è per sua natura libera, in caso contrario non sarebbe una scelta anche se formalmente ne presentasse le apparenze: scelta implica la concreta capacità di scegliere, non quella solo potenziale.
La libertà umana non necessita l’assoluto: poter scegliere fra due opzioni è già una scelta vera e propria.
Il range entro cui gli esseri umani possono scegliere è limitato: senza delimitazione verrebbe meno la definizione diumano, che come Maturana propone, significa poter continuare ad essere limitato (autopoiesi).
Delimitano l’umano le leggi della natura: un essere umano deve respirare aria, deve nutrirsi, deve mantenere una determinta temperatura. Da questo non può uscire, se non per diventare disumano.
La libertà dell’uomo sta nei limiti del rispetto delle leggi della natura: nessun uomo può vivere sotto una certa temperatura se non utilizza un sistema o un altro di mantenere il calore necessario alla sua condizione umana.
Non solo la necessità non diminuisce l’ampiezza della libertà, ma ne è anche l’unica garante: se l’uomo non fosse costretto a nutrirsi, che valore avrebbero le sue scelte e le conseguenti peripezie in questo ambito, le lotte per la giustizia sociale eccetera, e che senso avrebbero le scelte e le straordinarie invenzioni con cui si è sviluppata l’agricoltura nei secoli? La libertà è figlia diretta della necessità.
La storia della conoscenza comincia dagli animali: animali e uomini primitivi conoscono il mondo attraverso la percezione, cioè il sentire. Emozioni e sensazioni danno le informazioni sul mondo indispensabili alla sopravvivenza. Gesti e suoni sono un mezzo di comunicazione preverbale efficiente, ma limitato all’esperienza: con gesti e suoni si esprime quello che c’è e nient’altro.
Dalla comunicazione non verbale all’uso della parola il passo è lungo: la parola è stabilizzante perché è una realtà che rimane uguale a se stessa nelle continue fluttuazioni dell’esperienza.
Non è dato sapere come avvenne, ma a un certo momento si stabilizzarono certi elementi, presumibilmente prima sul piano del suono e del gesto ritualizzato e poi sul piano del segno sulla pietra.
Questa prima stabilizzazione fu sufficiente per la nascita delle culture sciamaniche, le quali fecero del mondo interno un compesso intreccio di esperienze che snodandosi nei labirinti dei rituali portarono a conoscenze profondissime sulla vita.
Un successivo elemento di stabilizzazione, ben più efficace, fu l’osservazione del cielo e il ripetersi infinito e esatto del moto degli astri, e dalle culture sciamaniche si svilupparono le culture astonomiche (babilonese, egiziana, atrzeca, ecc.)
Qui le storie di uomini e animali delle culture sciamaniche si trasformano da strumenti di conoscenza narrativo metaforica a miti e destini immutabili, ripetuti sempre uguali fino alla fine dei tempi.[1]
Le storie degli astri sono storie di Dei: non evocano infatti contenuti individuali che ognuno rielabora a modo suo, ma descrivono cammini esemplari e compiuti, che non ammettono deroghe ed eccezioni. Sono modelli, a cui gli esseri umani devono adeguarsi: come in cielo cosi’ in terra, dice una antichissima formula.
I babilonesi con tutta probabilita’ furono gli inventori dell’astrologia, che appunto afferma questo principio: quello che succede fra le stelle ha un corrispettivo nel mondo degli uomini.
Cercando di fare in terra come in cielo, gli esseri umani sviluppano con sforzi immensi straordinarie avventure che li avvicinano al cielo, dai megaliti di Stonehenge, agli ziggurat, alle piramidi, che in vari modi sono connessi con fenomeni celesti: la cultura atzeca era tanto spinta in questa direzione che il computo del tempo calcolato nel loro calendario, segnando nel periodo dei conquistadores la fine di un’era, influi’ pesantemente sulla caduta di quella civilta’.
Se le storie di uomini e animali avevano reso conosciuta la natura e l’avventura terrena dell’umanita’, le storie degli astri sono una conoscenza che travalica l’umano, sono la conoscenza di leggi rigide e aldila’ della compassione.
Leggi al di fuori del contesto umano, leggi astratte, e come tali incomprensibili alla mente comune: le storie sono il mezzo di apprendimento di queste leggi, che diventano miti, mentre gli astri diventano Dei, cioe’ esseri superiori e imperscrutabili, ma dotati di desideri e volonta’, e quindi comprensibili e conoscibili.
A questo punto gli esseri umani hanno due canali di conoscenza:
1) quello sciamanico, cioe’ la conoscenza diretta delle esperienze della vita, (quello che Bateson chiamerebbe cio’ che sta “sotto l’orizzonte degli eventi”) e che procede per analogie, cioe’ usa unlinguaggio analogico con cui costrusce metafore che iniziano allo sconosciuto, e
2) la conoscenza derivata dall’osservazione degli astri, che li insegue aldila’ dell’orizzonte per mezzo dell’astrazione, e che usa un linguaggio digitale con cui costruisce allegorie, che descrivono cripticamente le leggi del cosmo.
Ambedue questi canali usano le storie come mezzi di espressione, che per lungo tempo diventano un intreccio inestricabile di metafore e allegorie, complicato ulteriormente della passione affabulatrice che le colora di particolari suggestivi anche se incongrui ai processi conoscitivi.
Questa con-fusione sottende comunque una tensione non esplicita, che Nietzsche individuo’ nel mondo greco con la polarita’ Apollineo-Dionisiaco: Apollo e’ il Dio del sole, della perfezione, della bellezza, e Dioniso e’ il Dio del vino, dell’ebrezza in tutte le sue forme, dello scatenersi della Natura.
Nietzsche propose una visione dinamica della cultura classica, in cui Apollo e Dioniso sono polarita’ che contengono il perenne intrecciarsi di bellezza e vita, secondo l’espressione di Dostoevskji.
Freud parlava di libido e istinti dell’Io, e Heinz Kohut teorizzo’ in seguito una bipolarita’ enegetica, che indico’ con i termini narcisismo e pulsionalita’: con pulsionalita’ si riferiva all’insieme di impulsi che nell’uomo, come negli animali in genere, assicurano la vita, coie’ la sopravvivenza dell’individuo e della specie, e con narcisimo una inclinazione a cio’ che per la persona stessa e per la sua cultura di appartenenza significa il termine “bellezza”.
Mentre la pulsionalita’ e’ facilmente comprensibile in termini biologici, la bellezza e’ in realta’ un mistero vero e proprio: non e’ uguale per tutti, eppure c’e’ abbastanza accordo fra gli esseri umani a questo proposito. Non a tutti piace per esempio Raffaello, ma difficilmente, anche aldifuori della tradizione europea, qualcuno direbbe che non e’ un grande pittore.
Bellezza e vita (narcisismo e pulsionalita’) richiedono ambedue sia il linguaggio analogico (cioe’ evocativo), che quello digitale (cioe’ descrittivo) per essere avvicinate, e contemporaneamente il fascino per cio’ che sta “sotto l’orizzonte degli eventi” e per quello che sta aldila’ dell’orizzonte: per i misteri della terra e per i misteri del cielo insomma.
I misteri accompagnano l’uomo da sempre nella via della conoscenza, ma bisogna specificare che ci sono due categorie completamente distinte di misteri: quelli da svelare e quelli da contemplare.
Se le leggi della natura fanno parte della prima categoria, e lo svelamento avviene in un linguaggio digitale e la conoscenza risulta di tipo quantitativo, le opere d’arte fanno parte della seconda: non c’e’ davvero bisogno di spiegare un quadro, ma semmai di aiutare l’osservatore a contemplarlo, come fa appunto la critica esegetica per mezzo di un linguaggio analogico, cioe’ evocativo.
Il mistero che deve essere contemplato e’ il mistero della qualita’, che non puo’ essere per definizione espresso in termini quantitativi: qualita’ e quantita’ rimangono necessariamente incommensurabili, cioe’ non riducibili a un minimo comun denominatore.
In questa con-fusione di elementi, Platone porta un grande strumento di chiarificazione: con lui il mondo degli Dei, superiore e perfetto e conosciuto attraverso i miti, diventa il mondo delle idee, che obbediscono alle leggi della logica e attraverso la logica possono essere conosciute.
Le idee, come le stelle, sono perfette e immutabili, non transitorie come le cose della terra: invece di abitare in cielo abitano pero’ un altro mondo, ugualmente lontano dall’uomo, che e’ l’astrazione. Le idee abitano in un luogo aldifuori del tempo e dello spazio, e per questo non sono soggette all’usura come tutte le cose del mondo terreno.
Sono evidentemente queste le basi del sapere scientifico, che trovera’ in Cartesio il suo definitivo sistematore.
Attraverso i secoli che separano Platone da noi, questa corrente di pensiero sul modo di conoscere il mondo si chiamera’ razionalismo, e si inteccera’ con alterne vicende con la sua antagonista, l’empirismo.
L’empirismo (da en peira, nell’esperienza) nasce dal grande allievo di Platone, Aristotele, che, figlio di un medico sapeva che non bastavano le idee per guarire i malati.
Aristotele affermo’che non poteva esserci essenza senza sostanza, e che quindi le idee non potevano essere la realta’ ultima, e che l’esperienza era parte fondamentale di questa.
Conoscere attraverso le idee, cioe’ i concetti, e conoscere attraverso l’esperienza, sono le due strade insostituibili per un rapporto profondo col mondo, e sottendono chiaramente i due tipi di culture che si sono alternate attraverso i secoli, quelle sciamaniche e quelle astronomiche.
Come in natura l’ontogenesi ripercorre la filogenesi, cosi’ anche nello sviluppo psichico dell’essere umano l’ontogenesi del conoscere ripercorre la filogenesi delle culture: Freud descrisse due momenti successivi del funzionamento della mente nei bambini, il processo primario e quello secondario.
Il processo primario e’ quello in cui a una stessa parola si legano vari significati, ovverosia che procede attraverso un linguaggio analogico, mentre in quello secondario significante e significato sono biunivoci, cioe’ procede attraverso un linguaggio digitale.
Linguaggio in realta’ coincide con conoscenza: si puo’ parlare alla fine di conoscenza digitale e di conoscenza analogica.
Queste due vie di conoscenza si trovano separate alla nascita della psicologia moderna: Wundt fonda la psicologia razionalista, che cerca di conoscere l’uomo come fosse una macchina, e lo descrive in modo digitale, come un’insieme di leggi intorno al processo di stimolo-risposta, mentre Franz Brentano scrive “la psicologia dal punto di vista empirico” e teorizza l’intenzionalita’ come parte fondamentale del mondo psichico, indagabile evidentemente solo in maniera analogica. In analogia con l’oggetto della percezione si riscontra infatti l’intenzione del percipiente.
Da Brentano prende origine la fenomenologia, che sara’ sistematizzata dal suo allievo Husserl, e che si porra’ al lato dell’epistemologia come l’altra grande teoria della conoscenza: mentre l’epistemologia e’ teoria della conoscenza attraverso la teoria, la fenomenologia e’ teoria della conoscenza attraverso la percezione.
Nell’epistemologia confluisce il vecchio razionalismo, e fenomenologia e’ il nome moderno del vecchio empirismo: se pensare e’ la base della prima, sentire lo e’ della seconda.
Sentire e pensare si possono immaginare come la mano sinistra e la mano destra della mente: il problema non e’ quale e’ meglio, il problema e’ imparare a usarle tutte e due in modo che si integrino piuttosto che darsi disturbo.
Malgrado quello che alcuni credono, pensare e sentire non entrano mai in conflitto, essendo due attivita’ incommensurabili: sono semplicemente i nuclei emozionali del pensare che entrano in conflitto fra loro. Il dovere viene presentato spesso come figlio del pensare, come un fenomeno astratto, ma la morale e’ sempre figlia dell’etica: non c’e’ precetto morale che non sia stato precedentemente sentito come buono, e’ solo la sua generalizzazione che e’un processo astratto.
Il pensare e’ ancella del sentire: pensare serve a dirigersi attraverso il labirinto di contraddizioni e di bisogni diversi, spesso in contrasto fra loro, che il sentire produce, e che spingono con forza equivalente, impedendo alla persona le scelte di largo respiro. Solo pensando si riesce a uscire da sotto “l’orizzonte degli eventi” e a muoversi in una prospettiva che implichi non solo il passato ma anche il futuro, e non solo la realta’ concreta, ma anche quella ipotetica, che poi una volta ipotizzata e’ in strada per divenire anche lei concreta.
Non e’ tanto un problema di conflitto che rende difficile articolare il sentire e il pensare, ma qualcosa di molto piu’ complesso. Gli impliciti che la tradizione cristiana ha lasciato sul pensiero occidentale portano a credere che la coscenza sia un fenomeno semplice: in realta’ bisogna articolarla almeno in due componenti essenziali, gli occhi e l’attenzione.
La scuola e’ il luogo per eccellenza della distrazione: gli occhi guardano dove dovrebbero ma l’attenzione e’ altrove, e in definitiva non si ha per lo piu’ coscienza ne’ della materia scolastica ne’ degli interessi propri, e ne’ si impara ne’ ci si diverte.
Imparare a tenere gli occhi e l’attenzione dalla stessa parte e’ un’impresa difficile, tanto piu’ se si vuole sentire e pensare su cosa si sente, e sentire poi su cosa si e’ pensato, senza confondere le due operazioni ma sempre intrecciandole con la disinvoltura con cui si conduce un ballo intricato: scambiare pensare e sentire come si cambia la dama in una quadriglia sarebbe l’uso corretto di queste due grandi tradizioni culturali che accompagnano l’umanita’ dai tempi piu’ remoti, e sarebbe anche l’integrazione dei due processi, quello primario e quello secondario, dato che come dice Jung, il Puer e’ parte inalienabile di una personalita’ adulta che possa essere considerata sana.